Rocca di San Leucio


Rocca di San Leucio


Il circuito in opera poligonale dell’antica Verulae – il cui toponimo è stato recentemente dal Durante ricondotto all’osco-umbro vero- “porta” – racchiude le due alture che caratterizzano l’abitato: San Leucio a N (m 672 s.l.m.) e, nell’area centrale, il Castello (m 600 ca).

A SE del Monte di Castello si sviluppa una piccola zona pianeggiante occupata in antico dal Foro e ora dalla Cattedrale e dal Palazzo del Municipio alla quale fa sèguito la parte meridionale del centro ove si sviluppano i quartieri di San Paolo, di Santo Stefano e di Santa Croce. Le mura in opera poligonale sono osservabili in buono stato di conservazione dalla Rocca di San Leucio fino alla Porta Civerta. Costruite in gran parte appoggiandole direttamente sul vivo banco di roccia calcarea, si elevano in genere per un’altezza di 2-3 m, raggiungendo, però, in alcuni punti, anche i 6 m di sviluppo verricale. I massi presentano forma estremamente irregolare e dimensioni considerevoli toccando anche i 2,10 m di lunghezza e i 0,60 m di altezza mentre la profondità dei blocchi impiegati nell’edificazione dei filari raggiunge anche 1, 55 m. Le mura offrono alle loro spalle un riempimento di terra mista a scaglie di pietra locale che favorisce lo scolo delle acque meteoriche provenienti dai terreni soprastanti. In questo tratto si aprono anche alcune posterule, piccoli ingressi secondari legati soprattutto ad esigenze difensive, coperte da piattabande. Se ne conoscono in tutto cinque obliterate da riempimenti successivi. Un altro tratto della cerchia urbana, lungo intorno a 25 m, si nota a circa 600 m da Porta Civerta. Degna di rilievo è anche la costruzione, nel versante NE della collina meridionale, sopra le mura poligonali, di una struttura in opera cementizia con rivestimento in opera reticolata risalente all’inizio del I sec. a.C. (periodo della guerra sociale) rafforzata da una torre semicircolare posta a difesa di un accesso urbico ivi già esistente. Nel Medioevo sulla struttura romana venne impostata l’abside della chiesa di Santa Maria de’ Franconi annessa all’omonimo monastero benedettino e la sottostante cripta dedicata a Sant’Oronzo. Al pari di altre città antiche dell’attuale Provincia di Frosinone l’insediamento protetto da mura poligonali comprende, per evidenti motivi difensivi, non solo la parte occupata dall’abitato ma anche il rilievo ad esso soprastante. Si ripete a Veroli, quindi, quanto già attestato nella Media Valle del Liri ad Arpino, Atina e Sora e nelle non lontane Palestrina (con il Monte San Pietro) e Segni (con la dorsale del Pianillo). Come ricostruito dai coniugi Quilici, il perimetro murario di Veroli ha un percorso di circa 1,300 km ai quali vanno aggiunti i 1.000 m del versante occidentale nel quale l’abitate era, naturalmente, difeso da uno strapiombo quasi verticale. L’area racchiusa da queste possenti fortificazioni abbracciava, quindi, circa 12 ettari. Per quanto riguarda, infine, la datazione delle difese, i coniugi Quilici, ultimi studiosi ad essersi interessati alle mura della città dopo il Dodwell, il Fonte-a-Nive, il Gehrard e il Quattro-Ciocchi, sono propensi a datarle tra la fine del IV-inizio III sec. a.C. e cioè alla conclusione della guerra ernica che vide alcune città di questo settore meridionale dell’attuale Lazio (in primis Anagnia) impegnate, con tutte le loro forze, contro Roma. Questa fedeltà di Verulae all’Urbe fu premiata dai Romani con il permesso di mantenere le proprie leggi e di essere considerata città federata.
A SE del Monte di Castello si sviluppa una piccola zona pianeggiante occupata in antico dal Foro e ora dalla Cattedrale e dal Palazzo del Municipio alla quale fa sèguito la parte meridionale del centro ove si sviluppano i quartieri di San Paolo, di Santo Stefano e di Santa Croce. Le mura in opera poligonale sono osservabili in buono stato di conservazione dalla Rocca di San Leucio fino alla Porta Civerta. Costruite in gran parte appoggiandole direttamente sul vivo banco di roccia calcarea, si elevano in genere per un’altezza di 2-3 m, raggiungendo, però, in alcuni punti, anche i 6 m di sviluppo verricale. I massi presentano forma estremamente irregolare e dimensioni considerevoli toccando anche i 2,10 m di lunghezza e i 0,60 m di altezza mentre la profondità dei blocchi impiegati nell’edificazione dei filari raggiunge anche 1, 55 m. Le mura offrono alle loro spalle un riempimento di terra mista a scaglie di pietra locale che favorisce lo scolo delle acque meteoriche provenienti dai terreni soprastanti. In questo tratto si aprono anche alcune posterule, piccoli ingressi secondari legati soprattutto ad esigenze difensive, coperte da piattabande. Se ne conoscono in tutto cinque obliterate da riempimenti successivi. Un altro tratto della cerchia urbana, lungo intorno a 25 m, si nota a circa 600 m da Porta Civerta. Degna di rilievo è anche la costruzione, nel versante NE della collina meridionale, sopra le mura poligonali, di una struttura in opera cementizia con rivestimento in opera reticolata risalente all’inizio del I sec. a.C. (periodo della guerra sociale) rafforzata da una torre semicircolare posta a difesa di un accesso urbico ivi già esistente. Nel Medioevo sulla struttura romana venne impostata l’abside della chiesa di Santa Maria de’ Franconi annessa all’omonimo monastero benedettino e la sottostante cripta dedicata a Sant’Oronzo. Al pari di altre città antiche dell’attuale Provincia di Frosinone l’insediamento protetto da mura poligonali comprende, per evidenti motivi difensivi, non solo la parte occupata dall’abitato ma anche il rilievo ad esso soprastante. Si ripete a Veroli, quindi, quanto già attestato nella Media Valle del Liri ad Arpino, Atina e Sora e nelle non lontane Palestrina (con il Monte San Pietro) e Segni (con la dorsale del Pianillo). Come ricostruito dai coniugi Quilici, il perimetro murario di Veroli ha un percorso di circa 1,300 km ai quali vanno aggiunti i 1.000 m del versante occidentale nel quale l’abitate era, naturalmente, difeso da uno strapiombo quasi verticale. L’area racchiusa da queste possenti fortificazioni abbracciava, quindi, circa 12 ettari. Per quanto riguarda, infine, la datazione delle difese, i coniugi Quilici, ultimi studiosi ad essersi interessati alle mura della città dopo il Dodwell, il Fonte-a-Nive, il Gehrard e il Quattro-Ciocchi, sono propensi a datarle tra la fine del IV-inizio III sec. a.C. e cioè alla conclusione della guerra ernica che vide alcune città di questo settore meridionale dell’attuale Lazio (in primis Anagnia) impegnate, con tutte le loro forze, contro Roma. Questa fedeltà di Verulae all’Urbe fu premiata dai Romani con il permesso di mantenere le proprie leggi e di essere considerata città federata.


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